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Separazione dei De Filippo


Pensai subito che (…) la guaina d’acciaio che la critica, d’accordo col pubblico si preparava ad appiccicarci sulla pelle, ci avrebbe fatalmente procurato con gli anni una insopportabile mancanza di respiro, una terribile inibizione dei nostri movimenti più naturali, una completa soppressione della libertà. (…) Cominciò cosi per noi quella tarantella tragica che doveva in seguito amareggiarci ogni minima gioia. Con dentro al cuore la folle paura di rimanere divisi, non sognavamo di esserlo. (…) Per anni abbiamo costretto le nostre gambe a seguire un tempo unisono. Sforzi incredibili per mantenere il passo! Mentre due correvano, il terzo chissà perché, ad un tratto non gli andava più e rallentava l’andatura, mentre gli riprendeva il desiderio di correre proprio quando gli altri due avrebbero desiderato di rallentare, rallentare… Ma si decidevano alla fine insieme a riprendere la corsa stanchi, malcontenti, irritati da non poterne più.
da un articolo scritto da Titina (“Mattino d’Italia”, 5 settembre 1954)
 
In questa stagione non mettono in scena nessuna novità. Riprendono invece “Sik-Sik I’artefice magico”,” Natale in casa Cupiello”, “Non ti pago” di Eduardo, “La fortuna can l’effe maiuscola” di Eduardo De Filippo e Armando Curcio, “Non é vero… ma ci credo”,  “Cupido scherza e spazza”, “Don Rafele ‘0 trumbone”, “Spacca il centesimo”, “Amori e balestre” di  Peppino, “La lettera di mammà” di Maria Scarpetta e Peppino De Filippo, “Ma c’é papà” e “Quaranta ma non Ii dimostra”  di Titina e Peppino De Filippo, “Sogno di una notte di mezza sbornia” di Athos Setti, “A che servono questi quattrini” di Armando Curcio, “ll berretto a sonagli” di Luigi Pirandello. (…) Nell’autunno la compagnia inaugura la stagione 1944-1945 al Teatro Diana al Vomero a Napoli, ma finito il contratto, il 10 dicembre 1944, Eduardo e Peppino De Filippo si separano e continuano la loro strada ognuno per conto proprio. Titina rimane con Eduardo. Si scioglie cosi, dopo tredici anni, il Teatro Umoristico “I De Filippo”.
da “Eduardo” di Fiorenza di Franco, Gremese editore
 
La successiva ripresa autunnale per la nuova stagione ‘44-’45 vide “Il Teatro Umoristico” apparentemente ancora aggrappato ad un repertorio che (…) “parve quasi sancire un’improvvisa caduta di fantasia. di ispirazione. di ragioni e motivi di lavoro in comune”. (…) Li ospitava il Teatro Diana. al Vomero. E lì dopo tredici anni di successi raccolti in ogni piazza d‘Italia a volte esaltanti. cui persino il regime fascista s‘era dovuto adeguare. tollerando l’uso del dialetto. le denunce sociali e di costume ed il noto antifascismo dei fratelli, il “Teatro Umoristico i De Filippo” si sciolse.
da “Filumena in arte Titina” a cura di F.C.Greco e F.Arriva, Elio De Rosa Editore
 
«Anni di veleno amarissimo». Così Eduardo De Filippo, il 7 luglio 1942, parlava del suo rapporto con Peppino rispondendo al tentativo di riconciliazione del fratello dopo i soliti dissapori. (…) Intanto sono da tempo due galli in un pollaio: Eduardo accusa il fratello di rovinare i suoi «proponimenti artistici»; Peppino gli chiede di tornare a «studiare e lavorare» insieme «come ai nostri vecchi tempi», facendo appello anche alla sofferenza della madre. Ma la replica è feroce: un semplice colpo di spugna non può cancellare «l’offesa e il risentimento», nè le «torture morali» inflittegli «sistematicamente, minuto per minuto». Eduardo è inflessibile, chiede un «chiarimento esauriente, onesto, sincero», perchè «l’amore fraterno è un sentimento da asilo infantile»: «Se tu mi vuoi bene come ai primi tempi della nostra miseria, vuol dire che nulla puoi rimproverarmi… mentre io, e questo è il mio più grande dolore, non ti voglio bene come allora: ti temo». (…) Poco dopo la morte della madre Luisa, il 21 giugno 1943, i De Filippo vengono ingaggiati (…) al Diana, dove avviene il litigio che tronca il loro sodalizio. La ragione contingente era la certezza da parte di Eduardo che il fratello avesse in corso trattative con il grande impresario Remigio Paone per uno spettacolo di rivista. Il 10 dicembre 1944 si scioglie la compagnia. Dalla stessa intervista del 1972 in cui Peppino svelerà (…) il suo stato d’animo: «I De Filippo fino a quando siamo stati riuniti non esistevano, c’era Eduardo e basta. Era lui il capo, lui il mattatore, lui il genio della famiglia». L’impressione è che alla lunga ciascuno vivesse l’altro come una camicia di forza. Trent’anni dopo Peppino tornerà a chiedere «perdono»: «La solitudine mi sta consumando poco per volta (…). Vorrei tanto che io e te dimenticassimo i vecchi rancori». Eduardo risponde all’«appello quasi disperato» evocando le diverse idee sul teatro, e passando poi alla rasoiata: «Io non ti voglio male; ti consiglio però di astenerti dall’attaccarmi pubblicamente (…); perchè sebbene tali attacchi a me non facciano nè caldo nè freddo, mi danno il dolore del discapito che ne viene a te». Peppino morì il 26 gennaio 1980. (…) Eduardo (…) quando ebbe la notizia, si limitò a interrompere per qualche giorno lo spettacolo al teatro Duse di Bologna. Qualche mese dopo dichiarò: «Peppino da vivo non mi mancava… mi manca molto adesso».
da “Eduardo De Filippo” di Paolo Di Stefano (“Corriere della Sera“ 22 luglio 2014)
 
Come Roma é stata liberata, Eduardo ha detto: “Andiamo a Napoli!”. E siamo andati a Napoli (…) al Diana, dove é avvenuta la famosa lite tra Eduardo e Peppino. Fu una cosa molto antipatica e mi colpi particolarmente, perché mi sentivo legata a tutti e tre i fratelli. Era dicembre. Peppino stava provando una scena con me e si capiva che stava provando svogliatamente. ‘Io mi dovevo barcamenare fra gli indirizzi che dava Peppino quando provava lui e gli indirizzi che dava Eduardo, che era quasi sempre presente, pero quando aveva un impegno, diceva a Peppino: “Prova tu”. Ma Peppino aveva delle idee un po’ diverse dal fratello; quindi, l’attore malcapitato, quando erano presenti tutti e due i De Filippo, si doveva barcamenare pensando: “Quale strada prendo?”. Quella mattina io ero particolarmente confusa. Peppino era più per l’evasione rispetto al fratello, e tendeva a darti un’intonazione, un modo di procedere un po’ più allegro. (…) di conseguenza provavo male io. Eduardo si innervosì e, per non riprendere direttamente il fratello, se la prese con me: “Ma non capisci quello che devi fare? Che succede stammatina?”. “No, Edua‘, sono un po’ confusa… perché esattamente non ho capito che cosa é…”. Allora Eduardo e scattato: “E perché questo stronzo vuole provare!”. Hanno cominciato a offendersi reciprocamente, più Eduardo che non Peppino: “Ma non é possibile! Non si può andare avanti cosi!…”. Al che Peppino battendo le mani: “Duce! Duce!”. Eduardo che aveva sempre manifestato il suo antifascismo o perlomeno la non sopportazione di quel regime, prese una sedia e gliela voleva dare in testa. Sono intervenuti gli altri attori (…)l’hanno preso e l’hanno portato fuori. Allora si é scaricato Peppino: “Voi lo sapete! – gridava — Chi comanda é lui! Pero noi siamo soci a tutti gli effetti: se si spende una lira, mezza lira é mia! Insomma, noi siamo soci ma chi comanda è lui”. La prova, quel mattino, venne sospesa. La sera venne fuori un ordine del giorno: “La compagnia, terminate le recite programmate al Teatro Diana, andrà in riposo per qualche giorno in attesa di comunicazioni”.
da “Vita di Regina” di Maricla Boggio, Edizioni RaI Eri
 
Eduardo e Peppino si trovavano in quel periodo al Teatro Diana di Napoli impegnati nelle prove di una nuova commedia. L’atmosfera non era delle più serene. Alle preoccupazioni e alle incertezze sull’avvenire di quei giorni (…) si aggiungevano le incomprensioni e i malumori che regnavano ormai da tempo fra i due fratelli De Filippo. Peppino si mostrava insofferente di certe scelte artistiche di Eduardo e questi non tollerava di essere censurato dal fratello minore dal quale pretendeva ossequio e obbedienza. (…) Una mattina, durante le prove, a Eduardo scappò la pazienza e rimproverò Peppino di scarso impegno e di tramare nascostamente chissà quali intrighi per lasciare la Compagnia e accettare proposte di lavoro più allettanti economicamente. Forse Eduardo esagerò nel modo violento al quale ricorse per manifestare il suo risentimento. Quindi Peppino, già esasperato da precedenti discussioni, non esito a rispondergli con quell’indisponenza che gli era propria. E, messosi sull’attenti davanti a Eduardo, levò la mano nel saluto fascista e, (…) scandì con aria beffarda il grido “Duce, Duce, Duce”!… (…)Cosi si separarono i De Filippo e dal quel giorno Eduardo e Peppino non hanno più lavorato insieme in teatro.
da “De Filippo & De Filippo”, Luigi de Filippo , Newton Compton
 
Si aggiungeva l’incomprensione di mio fratello che si mostrava eternamente insoddisfatto di me sotto qualsiasi punto di vista e soprattutto ostile al mio sentimento d’amore verso Lidia, ed era sempre con malanimo che mi osservava, mi rimproverava, mi osteggiava (…) Avevamo ricevuto una proposta per andare a svolgere un breve ciclo di recite in Sicilia. Mi sentii in dovere di rammentare ad Eduardo che avevamo, in precedenza, già un impegno verbale di lavoro per due mesi a Roma al Teatro Quirino e due al Teatro Valle(…) Ma mio fratello, alla mia proposta, con allusioni e mezze frasi, comincio ad insinuare che io preferivo Roma alla Sicilia perché a Roma ci viveva Lidia ed era solo questo il mio interesse per Roma. (…) Eduardo ostinato nella sua idea ad un certo punto, con tono che non ammetteva repliche, disse irato: “ …insomma, a me, la Maresca (Lidia di cognome faceva Maresca) a Roma non mi ci porta!”. (…) La verità era un’altra e cioè: uno strano risentimento per Lidia, divenuta la donna preferita della mia vita e non magari, (suppongo), un suo capriccetto da letto. (…) Anni prima  aveva invitato Lidia a lasciare la rivista e mettere piede invece nella nostra compagnia di prosa col miraggio che le avrebbe fatto raggiungere chissà quali inimmaginabili orizzonti artistici. (…) Conclusione: non andammo né a Roma né in Sicilia perché mio fratello, sconvolto, preferì la nostra scissione artistica ed io, in fede, qui la descrivo tale e quale come avvenne, senza nulla togliere e nulla aggiungere: fredda, nuda, cruda come il destino aveva voluto che essa avvenisse. Ci trovavamo a lavorare con la nostra Compagnia già da qualche settimana al cinema-teatro Diana sul Vomero a Napoli ed erano gli ultimi giorni del mese di novembre 1944.  (…)  Già qualche giorno prima (…) gli domandai: “ ma dimmi, se io ti trattassi nel modo spregevole come tu mi tratti, cosa faresti”? Con tono chiaro e scandendo bene la frase rispose: “Me ne andrei! “. “Allora — risposi io — me ne andrò! ». (…) Nella sala d’aspetto del teatro Diana sul Vomero in Napoli ci eravamo riuniti (…). Le prove, naturalmente, proseguivano pigramente e senza convinzione né da parte mia né parte di mio fratello preoccupato solo di mostrarmi tutta la sua più viva disistima e antipatia. Ad un certo momento, ad un mio gesto di fastidio, la miccia si accese e la bomba scoppiò. La collera di Eduardo, violenta e rabbiosa nei miei confronti, esplose in tutta la sua ampiezza tanto che, a voce alta, presenti tutti gli attori della nostra compagnia, comincio ad insultarmi con parolacce da trivio che qui, soprattutto per pudore, non riporto. Frenando i miei nervi non lo interruppi unicamente perché mi pareva impossibile che un uomo della sua acuta intelligenza artistica e delle sue condizioni sociali potesse scendere a tale volgarità di espressioni e nei riguardi di un suo congiunto che tra l’altro nei suoi confronti non si era mai e poi mai permesso, in qualsiasi dannata occasione, di comportarsi a quel modo villano. (…) Strillava, Eduardo, strillava e inveiva sempre più, rosso in viso. Lo lasciai sfogare poi, calmo, battendo lievemente le mani palmo contro palmo, con tono che non eludeva la più chiara ironia, dissi ”Duce… Duce… Duce !”. Questa frase lo imbestialì a tal punto che gli attori presenti dovettero intervenire per calmarlo e portarlo alla ragione. Fu un brutto, bruttissimo episodio, un fatto vergognoso che ancora mi ripugna nel ricordarlo. (…)Titina (…) si offrì di lavorare con me e lasciare Eduardo; ma io rifiutai. (…) Un’idea precisa su ciò che avrei potuto fare da solo non l’avevo e non mi parve giusto coinvolgere mia sorella e suo marito Pietro nella mia indecisione.
da “Una famiglia difficile” di Peppino De Filippo, Marotta
 
C’era nell’aria un intollerabile “tradimento»; qualcuno gli aveva riferito che Peppino aveva accettato dall’impresario Remigio Paone una scrittura per una nuova rivista di Michele Galdieri. (…) Forse Eduardo non aveva la certezza del “tradimento” ma certo lo riteneva possibile. (…) Quella mattina, Peppino aveva un’aria strafottente. Era distratto alla prova, recitava svogliatamente; si sedette su una sedia e leggeva il giornale, “facendo frusciare le pagine” ostentatamente. Era quanto bastava per far sbottare Eduardo e provocare quella rabbia repressa, quella delusione dolorosa, quei sospetti compressi dall’amor proprio. Affrontò il fratello, gridò. (…) Morì cosi la Compagnia del Teatro Umoristico, trascinandosi dietro quarant’anni di rancori, di ripensamenti, di interpretazioni e di pettegolezzi; di dichiarazioni caustiche di Peppino, di silenzi sdegnosi di Eduardo. (…) Quella separazione era scritta nelle loro personalità artistiche, nei loro caratteri, nel loro patrimonio genetico. Il poeta dell’umorismo e dell’amarezza sentiva distendersi davanti a sé una strada nuova, che lo avrebbe portato sempre più lontano dalle sue origini, da Scarpetta, da Petito, da Pulcinella. (…) Il campione della comicità aperta, l’erede dello Zanni della Commedia dell’Arte, ambiva d’altra parte ad un spazio assoluto per il suo talento: accanto al fratello temeva, forse, di restare eternamente il caratterista brillante che si può promuovere a protagonista solo di tanto in tanto, un eterno “numero due”.
da “Vita di Eduardo” di M.Giammusso, Mondadori
 
Alle ore 22.45 del venticinque luglio 1943 l’annuncio della caduta del governo fascista. (…) In un modo angoscioso, terribile, spaventoso gli italiani riprendono i contatti con la verità. della propria situazione. Il muro che per decenni ha isolato la società dalla consapevolezza della propria realtà é caduto. (…) Egualmente, nel teatro. Anche quello degli ormai famosissimi De Filippo s’é rifatto, giocoforza, ad una realtà borghese e popolare cristallizzata in un tempo che non è l’attuale. (…) La storia del teatro di Eduardo coincide con quella della società italiana. (…) Con la caduta del fascismo, l’annuncio dell’armistizio, la guerra di resistenza e la liberazione cambiano sostanzialmente le condizioni entro cui si può operare. (…) Con milioni di italiani Eduardo partecipa intimamente e profondamente alla esplosione di libertà, di gioia, di fede. E come sentirsi nuovi. L’Italia sembra davvero ricominciare, nel 1945, e con una vitalità imprevedibile, insospettata. (…)  Si ricomincia a recitare a Napoli, al teatro Diana con il repertorio tradizionale. Si ricomincia, sulla scena, a riinventare il lazzo manipolato infinite volte, a giocare con la farsa quando non ve n’é più bisogno. (…) La comicità di Peppino, irresistibile, assurda. metafisica, non può assolutamente seguire le intenzioni del fratello.
da “Eduardo  De Filippo” di Gennaro Magliulo, Cappelli Editore
 
Era il 1972. Convinsi mio padre ad andare al teatro San Ferdinando dove Eduardo recitava Napoli milionaria. Alla fine del primo atto, Eduardo restò sul palcoscenico in silenzio. E anche il pubblico, che aveva cominciato a muoversi, tacque. “Voi sapete – cominciò a dire Eduardo – che tra me e mio fratello sono incorsi numerosi fraintendimenti. Hanno detto che non ci vogliamo bene. Ma non è vero. Ora lui è in sala con il figlio e vorrei che salissero su questo palcoscenico”. (…) Noi ci alzammo e la gente cominciò ad applaudire. Ero emozionato e Peppino aveva un’aria stralunata. Salimmo. Dopo un attimo di incertezza si abbracciarono. Poi, con gesto sovrano, Eduardo stese il braccio verso il pubblico: vedete come è semplice riconciliarsi. Dopo la recita andammo in una piccola osteria.  (…) Parlarono di tutto. (…) Ma anche dopo la riconciliazione a teatro, i due fratelli hanno continuato a non frequentarsi. Il carattere di Eduardo era quello di un genio intrattabile;. Peppino molto più bonario. Indubbiamente. Meno spietato.
da un’ intervista a Luigi de Filippo di Antonio Gnoli ( “La Repubblica”, 9 ottobre 2016)
 
La mia sorpresa non è dovuta alla loro separazione ma piuttosto che rimasero tanto a lungo assieme!
Luigi de Filippo